Conti pubblici, Carlo Cottarelli: la prudenza del governo Meloni paga. Ma tasse e debito sono ancora troppo alti
di Silvia Valente
Cresce la credibilità internazionale dell’Italia ma il Paese cresce meno di Grecia e Spagna. E nei prossimi 10 anni aumenteranno la spesa per difesa e welfare
RISPOSTA DI ALBERTO SAVASTANO
«Ho letto con interesse l’articolo del dottor Carlo Cottarelli pubblicato su Milano Finanza, che analizza l’evoluzione recente dei conti pubblici italiani. Si tratta di un contributo competente, come sempre nel suo stile, ma che – a mio avviso – lascia in ombra alcune questioni fondamentali per comprendere davvero lo stato dell’economia italiana.
Cottarelli riconosce che l’Italia cresce meno di altri Paesi del Sud Europa, nonostante un apparente miglioramento della nostra credibilità sui mercati. L’analisi si concentra sugli effetti di breve periodo: discesa dello spread, contenimento del deficit, aumento delle entrate fiscali. Tuttavia, mi permetto di osservare che questi dati non sono sufficienti per valutare la direzione complessiva del sistema Paese.
Il vero nodo strutturale, che troppo spesso resta fuori dal dibattito, è la mancanza cronica di valutazione preventiva degli investimenti pubblici. In Italia non si applica con coerenza l’Analisi Costi-Benefici. Si continua a finanziare progetti senza un esame rigoroso della loro redditività socio-economica. Di conseguenza, la spesa pubblica – pur elevata – produce effetti limitati sul PIL potenziale e sulla crescita di lungo periodo.
Questo punto è centrale: il debito pubblico non è un problema in sé, lo diventa quando non è agganciato a investimenti produttivi e misurabili nei loro impatti. Spendere senza valutare significa esporsi al rischio di inefficienza, ed è proprio questo che ha determinato – negli ultimi decenni – una crescita debole, una produttività stagnante, un PIL in progressiva erosione.
La prudenza contabile – come giustamente sottolinea Cottarelli – è importante. Ma se non è accompagnata da scelte selettive e razionali sugli impieghi delle risorse pubbliche, rischia di produrre solo equilibri temporanei, senza risolvere i problemi reali del Paese.
Senza un sistema organico di valutazione ex ante, non è possibile distinguere ciò che merita finanziamento da ciò che invece genera costi superiori ai benefici. Questa mancanza metodologica ha effetti concreti: penalizza l’economia reale, disincentiva gli investimenti privati e contribuisce alla decrescita strutturale.
Non si tratta, dunque, di negare i miglioramenti contabili. Ma di ricordare – con pacatezza – che l’unico vero risanamento duraturo passa attraverso la qualità della spesa pubblica, e questa qualità si misura solo con strumenti rigorosi e trasparenti di analisi.
Credo che proprio su questo terreno si debba concentrare il dibattito, se vogliamo che l’Italia esca davvero da una lunga stagione di stagnazione economica.