Bankitalia, peggiorano le prospettive sull’economia nei primi mesi del 2025. Imprese preoccupate per i dazi Usa
di Rossella Savojardo
RISPOSTA DI ALBERTO SAVASANO
Economia italiana: tra immobilismo decisionale e rischio stagnazione permanente
di Alberto Savastano – per il ciclo “Le Conferenze dello Sviluppo Economico e Sociale dell’Italia”
I primi mesi del 2025 confermano ciò che da tempo denunciamo nelle nostre Conferenze sullo Sviluppo Economico e Sociale dell’Italia: il sistema produttivo nazionale è fragile, isolato e privo di visione. I dati della Banca d’Italia, appena diffusi, parlano di imprese scoraggiate, credito immobile e investimenti bloccati. Ma la vera notizia è che tutto questo era prevedibile.
Le imprese dichiarano di voler investire, ma restano ferme. Perché? Perché il contesto non è favorevole. Perché manca una politica industriale seria. Perché gli investimenti pubblici non sono selezionati né valutati. E perché la burocrazia continua a divorare tempo, fiducia e margini. Il saldo negativo tra chi intravede un miglioramento e chi prevede un peggioramento dell’economia ha toccato -30 punti percentuali: un dato strutturalmente allarmante.
Anche il credito resta al palo. Bankitalia lo definisce “stabile”, ma si tratta di una stabilità fittizia: le banche non rischiano, non finanziano l’innovazione e non sostengono le strategie a medio termine. Il denaro c’è, ma non circola. E così l’intero comparto imprenditoriale – soprattutto quello delle PMI e del Mezzogiorno – resta bloccato, in attesa di una svolta che non arriva.
A peggiorare il quadro c’è la pressione dei dazi statunitensi, l’aumento dei costi energetici e una incertezza normativa permanente. Il risultato? Le imprese non innovano, ma si difendono. Non pianificano, ma improvvisano. E non guardano al futuro, ma si attaccano alla sopravvivenza.
Il punto centrale è questo: manca una regia nazionale sullo sviluppo. Le prospettive economiche non peggiorano per fatalità, ma per responsabilità. Politiche pubbliche disallineate, mancanza di valutazioni costi-benefici e uso inefficiente delle risorse pubbliche aggravano una situazione già compromessa. In Italia gli investimenti non generano valore sociale, ma diventano spese compensative. Il credito non finanzia il progresso, ma evita i fallimenti.
Siamo davanti a un sistema economico che ha smesso di crescere perché ha smesso di crederci.